Il greenwashing è una pratica sempre più diffusa tra le aziende che cercano di presentarsi come ecologiche e attente all’ambiente, sia nelle loro scelte che a livello di comunicazione. Molto spesso però ciò viene fatto senza adottare politiche e azioni concrete per ridurre davvero il proprio impatto ambientale. Non sorprende quindi che sempre più consumatori siano alla ricerca di informazioni sulle aziende che praticano il green marketing, per evitare di acquistare prodotti e servizi che vengono presentati come “green” ma che in realtà di “green” hanno ben poco.
La pubblicità costa meno
I motivi di questa recente svolta sono facilmente intuibili: innanzitutto investire in pubblicità costa notevolmente di meno che cambiare da cima a fondo la propria catena di produzione o i metodi di smaltimento. Inoltre i consumatori negli ultimi anni sono sempre più sensibili alla tematica ambientale e (che siano attivi o meno) tenderanno a scegliere aziende che si impegnano su questo tema.
Aggiungiamo che pochi sono quelli che indagano realmente e che nel caso ci si può sempre giustificare dicendo “poco è meglio di niente”, e ben presto diventa difficile distinguere tra chi si impegna realmente per l’ambiente e chi lo fa solo per ragioni di comodo. Sono diversi, infatti, negli ultimi tempi i casi eclatanti di greenwashing da parte di aziende di tutte le dimensioni, compresi i colossi multinazionali.
Un’indagine condotta dalla Commissione europea, attraverso uno screening dei siti web e delle affermazioni dei brand che proclamano di tutelare l’ambiente, ha mostrato che in oltre la metà dei casi l’azienda non aveva fornito ai consumatori informazioni sufficienti per determinare la veridicità delle affermazioni. Infatti, nel 37% dei casi il claim conteneva formulazioni vaghe e generiche, e nel 59% dei casi non venivano fornite prove a sostegno di tali affermazioni.
Complessivamente per il 42% questi “green claim” sono stati ritenuti ingannevoli e non veritieri, ovvero non sufficientemente fondati e supportati da azioni reali.
L’esempio di Patagonia
D’altra parte non si può certo accusare tutti di greenwashing, e ci sono vari esempi di aziende realmente credibili e dedite alla causa. Chi non ricorda la decisione di qualche mese fa del fondatore di Patagonia di cedere di punto in bianco l’intera compagnia a un’organizzazione no-profit, così da reinvestire l’intero utile annuale nella lotta contro la crisi climatica? È solo un esempio lampante delle tante realtà che si battono per un futuro più sostenibile, nei propri processi interni oppure proprio a livello di mission aziendale.
Senza fare di tutta l’erba un fascio, quindi, sembra sempre più importante assumere un atteggiamento critico e informarsi dettagliatamente sulle svariate aziende che ogni giorno ci propongono messaggi “green”, indagando soprattutto se essi sono messi in atto nelle reali politiche aziendali. E soprattutto diffidare di chi fa una pubblicità troppo “vistosa” per cavalcare il trend del momento: molto spesso lo fa solo per “pulirsi la coscienza”.