Oggi parliamo di marketing dell’influenza, no, nessuna febbre alta passeggera, ma un nuovo modo di investire in comunicazione. Sì, perché parliamo di questo: un’azienda ha un budget marketing, una parte di questo viene destinata alla pianificazione media – su quali canali decido di allocare le mie risorse? Campagne tv, radio, affissioni, guerrilla se sono unconventional e, naturalmente, il magico mondo del digital, dove non è più solo Google AdWords a fare da padrone, insieme al native, al programmatic display o agli accordi diretti per fare domination su repubblica.it, corriere.it o le altre milioni di testate generaliste e di settore.
Oggi, il content marketing è un tassello fondamentale di ogni strategia business e l’influencer rappresenta il media perfetto per rielaborare (in alcuni casi proporre ex novo) il contenuto rendendolo adatto ad essere recepito dalla propria community e posizionarlo.
Avete letto bene, rispetto ai canali classici, che prendono il tuo contenuto azienda e lo collocano così com’è sulle piattaforme proprietarie – fatto salvo per la targetizzazione – l’influencer dovrebbe attribuire un valore aggiunto, il suo. Chi, meglio di lui, può conoscere la propria fanbase? Ecco che allora risulta evidente come questa attività possa generare valore soltanto attraverso una collaborazione attiva e pro-attiva: l’azienda ha un messaggio, degli obiettivi da raggiungere, dei valori imprescindibili, ma è l’influencer a dover declinare il tutto attraverso un linguaggio che sia il più comprensibile e ficcante possibile per i suoi follower.
Diciamo che si tratta dell’evoluzione naturale di quella figura che, negli anni ’90, chiamavamo Testimonial, ma traslata sui social, patria delle relazioni. Rispetto a quegli anni, però, l’approccio è radicalmente cambiato: mentre il Testimonial era un personaggio pubblico dotato di una notorietà popolare, l’influencer è una persona comune che ha saputo gestire bene la sua presenza online – o proporre qualcosa di nuovo guadagnandosi una nicchia – costruendosi un seguito e una reputation attraverso il raccontando del quotidiano.
Ma sentiamo Montemagno proprio sull’argomento:
Già, perché l’influencer marketing possa avere successo sono importanti – guarda caso – due attività fondamentali oggi:
- il data driven -> la scelta di un profilo piuttosto che un altro va fatta sulla base di un’analisi: che settore mi interessa colpire? Questo mi permetterà di indirizzarmi verso profili più generalisti oppure più verticali. Che budget ho a disposizione? Certo, piacerebbe a tutti coinvolgere un Top, ma se ho 500 euro per un post saprò di dovermi indirizzare verso profili micro o middle. Qual è il plus di quel profilo? Mi interessa solo perché ha un engagement rate alto oppure perché è molto forte su un tipo di contenuto? Qual è il canale che potrebbe interessarmi maggiormente presidiare? Instagram è diverso da Youtube per linguaggio, formati, obiettivi e così per i profili: uno youtuber ha, senza dubbio, caratteristiche diverse da un influencer a focus lifestyle, forte per le foto su Instagram.
- la creatività -> se faccio un’attivazione di N profili da remoto fornendo loro un’immagine prodotto in still-life da condividere su Instagram così com’è, che tipo di risultato mi posso aspettare? Sì, avrò la mia mole di impression più o meno grande a seconda della fanbase di riferimento, ma è sufficiente? Raggiungo un qualche obiettivo di marketing? Sarebbe meglio se l’influencer in questione ricevesse un brief che gli permettesse di rielaborare quel concept con il suo stile. Quello stile che l’utente conosce e riconosce come autentico. Altrimenti beh, sarà solo l’ennesima marchettata.
Ma proviamo a dare qualche numero: first of all, nove aziende su dieci oggi utilizzano Influencer. Una bella mole, no? Sintomo che la cosa funziona, se usata con criterio. Ma Influencer non vuol dire necessariamente un profilo da milioni di follower, anzi, il grosso dell’attività avviene alla base, con l’attivazione di profili Micro (tra 1.000 e 25.000 follower) e Middle (fino a 70.000 seguaci). Sì, perché i piccoli generalmente riescono ad avere un rapporto più diretto con il loro pubblico, costruendo relazioni bi-direzionali che fanno ottenere tassi di interazione spesso più interessanti dei Big.
Quindi, come parametro il successo di un’operazione di Influencer Marketing? Banale ma verissimo: dipende dall’obiettivo. Hai necessità di avere un picco di notorietà per un lancio? Se il tuo budget lo permette, coinvolgi un profilo Top che possa garantire un’impennata in termini di impression e reach. Ti serve, invece, fare un lavoro più editoriale che stimoli engage e traffico al sito? Attiva profili micro e middle di settore che magari siano anche titolari di blog e rendi la collaborazione virtuosa lasciando loro il giusto margine di personalizzazione del messaggio. Insomma, non ci sono regole fisse, tutto va valutato sulla base del progetto.
Tornando ai numeri, vi lasciamo con alcuni estratti della ricerca – il primo report sul mercato dell’Influencer Marketing in Italia – svolta dall’ONIM, Osservatorio Nazionale Influencer Marketing, no-profit nata proprio per seguire questo trend e diffondere tutte le informazioni utili a comprenderlo.
SETTORI: l’utilizzo dell’Influencer Marketing diviso per categoria merceologica
OBIETTIVI: perché un’azienda in Italia decide di investire in Influencer Marketing?
CANALI: su quali piattaforme lavorano maggiormente gli Influencer in Italia
ETA’: di che fascia parliamo?
FORMATI: quali tipologie di contenuti vengono utilizzate